EDITORIALE A CURA DEL PROFESSOR
GILBERTO CORBELLINI

 

La medicina, in quanto tecnica laica, da sempre si pone il problema dell’insegnamento e dell’apprendimento. Il Giuramento ippocratico riguardava in buona parte la relazione pedagogica tra maestro e allievo e i vincoli da rispettare nella trasmissione, e poi anche nell’uso, dell’arte medica, quando i medici erano organizzati in confraternite o sette. Almeno a partire dal Seicento, hanno avuto luogo, in tempi e per ragioni diverse, successive innovazioni pedagogiche e didattiche. La scienza medica cambia e sempre più velocemente, e sono cangianti, in modi anche rapidi, le sfide sanitarie, come ha mostrato una pandemia dalle caratteristiche imprevedibili.

Lo statuto epistemologico della medicina, per come si configura dopo la svolta sperimentale di metà Ottocento, ovvero il fatto che si tratta di un “insieme di scienze applicate, in evoluzione”, per cui l’attività medica si trova a dover mediare tra la ricerca di conoscenze di portata generale, cioè scientifiche, e lo scopo originario per cui la medicina esiste, cioè prendersi cura del singolo malato, si riflette sulle dimensioni filosofiche della pedagogia medica. Uno sguardo all’insegnamento e all’apprendimento dei modi di curare nell’ultimo secolo, mostra che le due fondamentali novità, cioè la Riforma Flexner e la diffusione del Problem based learning (PBL), erano ispirate da due ben definite filosofie. A monte della Riforma Flexner c’era l’idea che la medicina scientifica fosse quella che applicava il metodo sperimentale e la ricerca di laboratorio alla definizione e alla soluzione dei problemi clinici. L’affermarsi del PBL era invece ispirato, oltre che dalle difficoltà del metodo Flexner nel secondo dopoguerra e dalla nuova pedagogia costruttivista, soprattutto dalle idee dell’epidemiologia clinica e quindi dell’evidence based medicine (Ebm), che faceva coincidere la pratica medica con la capacità di utilizzare i risultati della ricerca clinica, basata su studi randomizzati e controllati, miranti a stabilire empiricamente l’efficacia relativa di diversi trattamenti o fattori di rischio.

Negli ultimi decenni le università e le scuole di medicina di tutto il mondo hanno sperimentato alchimie tematiche e strategie pedagogiche diverse per fronteggiare le esigenze di differenziazione professionale e formazione continua, nonché per migliorare la caratterizzazione scientifica, culturale e psicologica (impropriamente chiamata “umana”) del medico. Non sono state trovate soluzioni curriculari o didattiche che consentano di concentrare o strutturare meglio il carico di informazioni, in crescita e diversificazione costante, che appare necessario a formare un buon medico. Ovvero come far sì che il medico che emerge dal percorso formativo risulti adeguatamente preparato sul piano clinico, nonché motivato, flessibile e aperto per affrontare e gestire le sfide etiche, sociali, economiche e organizzative della sanità, nonché per cogliere al contempo le opportunità rapide innovazioni.

Non ha senso aspettare un nuovo genio e visionario della pedagogia medica come fu Abraham Flexner o un nuovo gruppo di epidemiologi clinici e pedagoghi ispirati come quello che alla McMaster University introdusse il PBL come base della pedagogia medica. Però, al di là delle strategie didattiche e delle integrazioni curricolari sin qui privilegiate, qualcosa di meno burocratico e di più visionario servirebbe per ridare entusiasmo e slancio a chi oggi intraprende lo studio della medicina, con l’atteggiamento di chi deve affrontare una faticosa e non sempre razionale corsa a ostacoli. Mentre potrebbe vivere l’esperienza di formazione come un viaggio unico ed entusiasmante nelle più straordinarie conoscenze scientifiche e con occasioni altrettanto uniche e appaganti di migliorare la vita delle persone.

 

Gilberto Corbellini
Direttore Scientifico Festival della Scienza Medica